Il quinto episodio di The River, andato in onda ieri su Fox, mi ha deluso. Mentre nelle puntate precedenti il paranormale si legava al mistero, nell'ultima, invece, si tinge di horror di serie B, con tanto di nave fantasma. L'attenzione viene spostata sul personaggio di Lena, e del suo rapporto con il padre, anch'esso sparito durante l'ultima spedizione del dottor Cole, lasciando nell'ombra gli altri personaggi, in particolare Lincoln, quasi assente per tutta la durata dell'episodio.
Velocemente la trama: La Magus, sempre alla ricerca di Cole, si scontra con uno scoglio riportando danni ingenti. Dopo numerosi tentativi andati a vuoto, Tess riesce a mettersi in contatto via radio con qualcuno. E' l'equipaggio della Exodus, che interviene in loro soccorso. Almeno questo è quello che vogliono far credere. Fin qui la storia procede bene, conservando anche una certa coerenza con gli episodi precedenti, sia in termini di trama che di ritmo.
Fino a quando non scopriamo che la Exodus è una nave fantasma e che i membri dell'equipaggio, per liberarsi del sortilegio che aleggia su di loro, devono catturare cinque persone e tenerle rinchiuse sulla nave fino all'alba. Una vera caduta di stile, a mio avviso, ma non solo. Nel corso della puntata non scopriamo niente di nuovo e di utile per il prosieguo della missione, nemmeno dopo il ritrovamento del padre di Lena, prigioniero sulla nave.
Non contenti, sul finale gli autori ci regalano anche una scena strappalacrime, con la disperazione di Lena nel vedere suo padre decidere di rimanere sulla Exodus e bruciare con il resto dell'equipaggio essendo, ormai, anche lui vittima del sortilegio.
Insomma. un episodio che lascia il tempo che trova, e che non crea i presupposti per l'evoluzione del racconto.
Gli episodi 12 e 13 mettono fine alla prima stagione di Alcatraz, serie che non fatico ad inserire tra le migliori degli ultimi anni. Come in ogni prodotto seriale di qualità, il finale di stagione porta con sé risposte e nuove domande. Finalmente scopriamo cosa è successo davvero ai detenuti ed il perché dell'utilizzo della'argento colloidale nel sangue (idea geniale, nda). E otteniamo un paio di conferme: la prima, è che dietro a tutto c'è il direttore; la seconda, è che Tommy Madsen è parte integrante del progetto. Il perché, ovviamente, lo si può immaginare. O forse intuire.
Harlan Simmons
Ma scopriamo anche che il direttore ha mosso altre due pedine importanti: un ex prigioniero, Harlan Simmons, liberato per buona condotta, con la complicità di Garrett Stillman, e diventato un grande magnate della finanza; e uno scienziato, capace di rendere possibile il piano del direttore.
Ma quello che inizia ad Alcatraz, finisce ad Alcatraz. E più precisamente nei sotterranei, nella stanza segreta del direttore, da aprire con le chiavi ritrovate da Hauser e una terza chiave, da recuperare.
Rebecca e Tommy Madsen
La stessa chiave che Stillman ruba a Simmons per consegnarla a Tommy Madsen. E non sarà così facile, a causa di Ghost, Joseph Limerick che si impossessa della chiave e si rinchiude in un ospedale psichiatrico di proprietà di Simmons.
Arriva così il momento della resa dei conti, tra Rebecca e Madsen. Ma non c'è un happy ending ad attenderci. Intanto, Hauser, recuperata la chiave, apre finalmente la porta segreta e vi troverà una mappa degli USA con la posizione dei prigionieri. E non si trovano solo a San Francisco. Il raggio d'azione si allarga. Nella stanza Hauser e Lucy trovano anche una interessante sorpresa.
Rebecca
E finisce così la prima serie di Alcatraz, con interrogativi nuovi, scenari interessanti ed enormi potenzialità. Speriamo di poter vedere nuovi episodi, per non rimanere con l'immagine di Rebecca stesa sul letto d'ospedale mentre i medici la dichiarano morta. Adesso, non ci resta che aspettare.
La puntata pilota mi aveva colpito positivamente, spingendomi a seguire la serie. Ieri su Fox è andato in onda il secondo episodio intitolato "1+1=3". Si parte da dove eravamo rimasti. Un nuovo indizio, un numero di telefono, una persona da rintracciare. Il compito di Martin adesso è quello di seguire questi indizi e fare esattamente quello che Jake si aspetta che faccia.
Questa volta deve salvare la vita di un uomo, quello che telefona alla fine del primo episodio. La struttura delle serie è basata sulle connessioni tra e persone, quindi è ovvio che salvare un uomo vuol dire produrre degli effetti sulla vita degli altri. Un cane che fugge in aeroporto, una hostess che per rincorrerlo si scontra con un uomo causando la rottura di una urna funeraria, un boss della mafia russa che minaccia un uomo che, per ripagare il suo debito, organizza una rapina al banco dei pegni dell'uomo che Martin deve salvare. E una palla da baseball che li legherà in una carambola di azioni, causa-effetto. Ad essere sincero, la puntata non ha lo stesso ritmo della precedente, ed a tratti risulta un po' noiosa. Ma si salva nel finale, con una sequenza molto emozionante. Insomma, questa serie ha delle potenzialità, vedremo se gli autori saranno in grado di farle emergere nel migliore dei modi. Per adesso, sono al 70%.
Fringe finalmente è tornato, a circa un mese dall'ultima messa in onda, e lo ha fatto con uno degli episodi più belli in assoluto di tutta la serie. L'episodio si intitola "A short story about love" e la storia riparte da dove l'avevamo lasciata; Peter tenta di entrare nella mente di Settembre ma lui scompare. Walter, attraverso uno strumento sofisticato, riesce a scoprire un indizio lasciato nell'occhio di Peter: un indirizzo. Nel frattempo, Olivia è sempre più confusa sui suoi sentimenti per Peter ed i ricordi della sua vita che stanno svanendo completamente.
Il caso della settimana riguarda un killer che ha come obiettivo coppie innamorate. Il suo modus operandi è molto interessante: uccide prima l'uomo disidratandolo completamente, poi estrae dei feromoni e li utilizza per attirare la donna, prima di ammazzare anche lei. Il perché è presto detto: sintetizzare un perfetto "Siero dell'amore", in modo da consentire ad ogni essere umano di provare cosa significa essere innamorati. Insomma, un killer romantico che con le sue gesta conferma la teoria secondo la quale l'amore non è altro che una reazione chimica.
Intanto, Peter si reca all'indirizzo e si ritrova in casa di Settembre. Seguendo gli indizi recupera un oggetto già visto in precedenza nel corso della serie. Grazie ad esso, Settembre può mostrarsi e spiegargli la realtà dei fatti. E sarà davvero liberatorio. E come in ogni storia d'amore, arriva anche il lieto fine, con queste parole che riecheggiano nella mente: "She's your Olivia!".
Insomma, un episodio bellissimo che si può racchiudere parafrasando la famosa espressione di Cartesio: "Amo, quindi esisto".
The River continua a convincere, anche se saccheggiando idee un po' ovunque, dai film fino alla bibbia. Si, perché nel quarto episodio sulla Magus si abbatteranno due "piaghe": uccelli morti e insetti. Non molto originale, ma comunque di effetto. L'episodio parte dal ritrovamento di uno dei membri del'equipaggio di Emmet,il cameraman Jonas, impiccato ad un albero ma miracolosamente ancora vivo. Dopo le cure necessarie, Jonas si rivela per quello che è: un pericolo. Attraverso i vecchi filmati scopriamo che Jonas aveva disobbedito agli ordini di Cole e ripreso il rito funebre di un anziano membro di una tribù dell'Amazzonia, rito considerato sacro. Come in ogni episodio, a fiutare il pericolo è Jahel, ormai vero e proprio Oracolo per l'equipaggio.
A spaventarla questa volta è la leggenda de "El Colgado", cioè l'impiccato; un uomo accusato di aver rubato qualcosa di importante e per questo condannato alla morte. Nel caso specifico, Jonas avrebbe rubato, riprendendo la scena del funerale, l'anima del moribondo. La posta in gioco è alta e l'equipaggio per la prima volta si spacca.
La decisione è difficile: lasciare Jonas al suo destino oppure salvarlo e sfruttarlo per trovare Emmet. Una scelta che anche Cole aveva dovuto prendere, come ci mostra un video. Jonas, a questo punto, li libera dal dubbio e si impicca, dopo aver rotto il cellulare con il quale aveva registrato il video. Così, come per magia, l'anima dell'uomo si libera portandosi via la maledizione e salvando Jonas e la nave.
Insomma, un episodio che sfrutta elementi spesso abusati da cinema, tv e letteratura, ma mixati con sapienza. Non brillerà per originalità della trama, ma lo stile, il ritmo e soprattutto la regia rendono "The River" una delle cose più interessanti di questa stagione televisiva.
In ogni serie televisiva c'è un episodio che rimane impresso nella memoria più di altri. Non per la trama, o per una scena indimenticabile, ma perché è diversa. E' il caso dell'episodio 11 di Alcatraz, intitolato "Webb Porter". Da piccola sua madre ha tentato di annegarlo nella vasca di casa. Lui, dopo qualche anno, l'ha ammazzata ed è finito in carcere. L'episodio dell'infanzia gli ha lasciato, però, degli evidenti disturbi mentali, in particolare un ronzio persistente nelle orecchie che lo spinge alla disperazione. Le sue grida continue spingono il direttore a dargli, per la tranquillità degli altri detenuti, una sistemazione singola. Ad aiutarlo sarà la dottoressa Sengupta, finalmente al centro di un episodio. Attraverso la musica terapia, la dottoressa riesce ad incanalare la disperazione di Webb in uno strumento musicale: il violino. E lui, al termine dell'episodio, riuscirà a renderle il favore.
Tornato dal '63, Webb riprende gli omicidi, rispettando il suo modus operandi. Giovani donne alle quali taglia i capelli prima di annegarle nella vasca. Ma non sarà facile scoprire la sua identità, vista la diversa natura della sua detenzione.
Questo episodio rimane nella memoria più di altri principalmente per due motivi . Il primo, è perché per la prima volta il killer non suscita nello spettatore un senso di ribrezzo ma di compassione, per un ragazzo disturbato a causa dalla violenza subita da piccolo. Il secondo, è perché finalmente scopriamo la natura della relazione tra Hauser e Lucy, e del loro amore che dura ormai da 50 anni. Pietà, dolore, speranza e amore, il tutto accompagnato dal suono struggente del violino. E sul finale, una bella sorpresa.
Un episodio da non perdere per una serie che si avvia al termine.
Dopo la visione del pilot l'attesa per i nuovi episodi della serie è stata molto alta, come anche le aspettative. E posso affermare, dopo aver visto la seconda e la terza puntata, che ne è valsa la pena. La serie conferma tutto il suo potenziale, grazie alla miscela di dramma e poliziesco che riesce a coinvolgere sia a livello visivo che emozionale.
Nel secondo episodio, intitolato "The Little Guy", il detective Britten indaga su due omicidi, uno in ogni realtà. In entrambe la vittima ha lo stesso nome, Bernard McKenzie, ma con le dovute differenze. Nella realtà in cui è sopravvissuto il figlio Rex, definita "verde" dagli autori, McKenzie è un medico esperto in fertilità; in quella in cui ad essere viva è la moglie, invece, è un senzatetto. Altro elemento condiviso è la definizione dell'assassino come "little guy", cioè persona minuta. Britten usa le informazioni che ha a disposizione in una realtà per risolvere il caso nell'altra, e viceversa. Purtroppo, il caso di omicidio raccontato in questo ha diversi precedenti in altre serie tv. Penso in particolare a Lie To Me e Fringe; in entrambi i casi, un esperto in fertilità utilizza il proprio sperma o mente sul reale donatore. Nonostante questo dettaglio, ovviamente non trascurabile, l'episodio è molto bello, coinvolgente e commovente.
Come nel pilot, però, la parte più interessante del racconto è quella relativa alla sfera famigliare. In questo episodio la moglie di Britten, Hannah, scopre qualcosa di nuovo su suo figlio che la aiuterà a confrontarsi con la sua morte. Molto bella la scena nella quale si alternano Hannah e Rex alla guida della motocicletta davanti agli occhi di Michael.
Nel finale, da sottolineare il grande colpo di scena, che mette tutto in discussione gettando un alone di mistero e di complotto sull'intera faccenda dell'incidente.
Nel terzo episodio, intitolato "Guilty", l'attenzione viene spostata maggiormente sul caso di polizia, anche perché coinvolge, suo malgrado, Rex, rapito da un uomo evaso di prigione dopo dieci anni dal suo arresto, compiuto proprio da Michael e dal suo collego dell'epoca.
Come negli episodi precedenti, le due realtà si intrecciano e Michael, questa volta, non può proprio permettersi di fallire. Non può rischiare di perdere suo figlio definitivamente. Il rapitore combina un incontro con Michael, dichiarandosi disponibile a rilasciare Rex in cambio del suo aiuto. Sostiene di essere innocente, ed ha bisogno di lui per smascherare il vero colpevole dell'omicidio per il quale è stato processato. Ma, durante l'incontro, interviene la polizia che uccide il rapitore.
Michael non ha altra scelta. Deve parlare con il rapitore dell'altra realtà, ancora in carcere a scontare la pena. Riesce così a scoprire la verità. Fa arrestare il suo collega dell'epoca, vero colpevole dell'omicidio, e salva suo figlio.
L'impatto emotivo è elevatissimo, al punto da mettere in secondo piano le pur legittime domande degli spettatori rispetto al finale dell'episodio precedente.
Anche questo episodio comunque sottolinea il vero punto di forza della serie: la capacità di raccontare l'elaborazione del lutto, il doloreed i sentimenti che si provano nel vivere senza la persona che si ama.
E' una serie da vedere, da commentare, da condividere. Insomma, una serie da non perdere.
Mi è mancato. Dopo due settimane di attesa finalmente sono andati in onda i due nuovi e attesissimi episodi di Alcatraz. Con "The Ames Brothers" e "Sonny Burnett", la serie si arricchisce di altri pezzi da aggiungere al puzzle complessivo, che diventa sempre più intrigante. Nel primo dei due episodi non c'è solo un cattivo, ma addirittura tre. I fratelli Ames e la guardia corrotta Donovan, interessati a quella che sembrava essere solo l'ennesima leggenda legata alla Roccia: l'oro. Ovviamente, ancora una volta il direttore sa qualcosa che noi non sappiamo.
Questa volta la posta in gioco per la divisione guidata da Hauser è ancora più alta; i fratelli Ames hanno preso Soto come ostaggio. E' la prima volta che vediamo più criminali nello stesso episodio, e questo gli conferisce maggiore ritmo, grazie anche ad un pizzico di violenza e di azione in più. Molto belle le scene del flashback, con l'organizzazione della rapina che poi andrà male. Le famose chiavi del direttore vengono rubate e clonate dai due fratelli, convinti di poter aprire la stanza dei sotterranei nella quale è nascosto l'oro. Ma non è così. Le chiavi non aprono quella porta. E allora a cosa servono?
L'episodio Sonny Burnett ha un vago sapore Tarantiniano, e non solo per la sepoltura della donna viva. Sonny era un criminale non-violento, che rapiva persone facoltose per incassare cospicui riscatti. Non aveva mai fatto del male a nessuno. Non ancora. Ma la Roccia, si sa, fa emergere il peggio delle persone. Il tradimento della donna amata lo porta a trasformarsi, fino a diventare un violento e sadico criminale, ritornato per fargliela pagare. Bisogna sottolineare la magistrale interpretazione dell'attore, Theo Rossi, visto in Sons of Anarchy, capace di rendere alla perfezione la pazzia di quest'uomo.
A rendere l'episodio ancora più interessante è l'evoluzione del personaggio di Ray Archer, uomo dal passato e dal presente a dir poco ambigui. Cosa sa? Perché copre il fratello Tommy Madsen e non aiuta Rebecca?
Considerati dalla maggior parte delle testate, dei siti e dei blog di settore come i migliori episodi della serie, direi che vale assolutamente la pena di vederli.
P.s: piccola curiosità: The Ames Brother è il nome di un Quartetto musicale americano degli anni '50.
Prima di recensire questo film devo fare una premessa: Steven Soderbergh è il mio regista preferito. Di conseguenza, mi aspetto sempre molto da lui, e devo dire che non mi ha mai deluso. Ha realizzato film meravigliosi, ma nel suo ultimo lavoro, Knockout - Resa dei conti, ho potuto apprezzare solo la maestria con la quale lo ha diretto. Infatti, nonostante la trama consentisse la realizzazione di scene dall'elevato potenziale pirotecnico, lui ha scelto una regia più asciutta, senza fronzoli, moderna. In effetti, le scene di lotta non contengono evoluzioni stile Matrix, ma solo le sane e vecchie scazzottate. Combattimenti violenti, nei quali però si finisce per morire senza, incredibilmente, perdere una sola goccia di sangue. A metà strada tra 007 e Kill Bill, il film racconta le vicende di Mallory Kane, agente segreto tradito in cerca di vendetta.
Apprezzabile, e azzeccata, la scelta della protagonista, Gina Carano, campionessa di Muay Thai e di Arti Marziali Miste, alla sua prima prova da attrice. Nonostante la mancanza di esperienze precedenti di recitazioni, Gina riesce a conferire autenticità al personaggio, soprattutto, come ci si aspetta, nelle scene di lotta.
Knockout è un film che lascia indifferenti, che vedi e dimentichi nel giro di pochi giorni. Ed è un peccato, se pensi che dietro alla macchina da presa c'è lo stesso regista di Sesso, Bugie & Videotape, Traffic, Erin Brockovich, la saga di Ocean's, Solaris e tanti altri capolavori. Un regista capace di attraversare i generi sempre con efficacia, di passare da Mega Produzioni Hollywoodiane a piccoli film indipendenti con attori non professionisti(vedi Bubble, nda). Insomma, Knockout è uno di quei film che, tra qualche anno, nessuno citerà mai nella filmografia di questo grande regista.
P.S.: perché Banderas e Douglas non sono doppiati da Pannofino e Giannini? Questo è un altro elemento negativo del film.
Parafrasando una celebre canzone degli 883, la regola dell'esordiente non sbaglia mai. Se al primo tentativo centri l'obiettivo ed ottieni titoli e riconoscimenti, dopo, quando arriva il momento di confermare quel talento, iniziano i problemi. E' quello che è successo, a mio avviso, a Diablo Cody, ex spogliarellista, ora sceneggiatrice di successo. Dopo aver scritto quel capolavoro del cinema moderno intitolato Juno, ha deluso con il mediocre Jennifer's Body. Ora, al terzo tentativo, non riesce ancora a convincere del tutto. La sua ultima fatica si intitola Young Adult, film diretto dal bravissimo Jason Reitman, alla seconda collaborazione con Diablo.
Young Adult è la storia di Mavis Gary (Charlize Theron, nda) una donna che non riesce a vivere nel presente. La sua mente è sempre rivolta al periodo del liceo, quando era la ragazza più bella e popolare della scuola ed era fidanzata con Buddy Slade (Patrick Wilson,nda), l'amore della sua vita. Mavis è la ghost writer di una serie di romanzi per adolescenti (gli Young Adult del titolo, nda), di grande successo ma in fase di chiusura. E' una donna sola, persa tra i suoi ricordi e l'alcol. Eppure ha tutto per essere felice. E' bella, giovane e scrive libri di succeso. Ma niente da fare, non ci riesce. Un giorno, però, riceve via mail l'invito al battesimo della figlia di Buddy e qualcosa scatta in lei. Si convince che il destino vuole farli tornare insieme, così ritorna nella cittadina di provincia dalla quale è scappata per riconquistare il suo primo amore.
Inizia così un viaggio nella memoria, che non sarà come aveva sperato. Perché quando vivi il presente pensando al passato, rendersi conto di non essere diventati come ci si immaginava può spaventare. E fare male.
Il film, nel complesso, non è male, merito della bravura del regista, al suo quarto film, di una buona dose di ironia, e di Charlize Theron, bravissima a trascinarci negli abissi della mente decisamente deviata del suo personaggio. La macchina da presa segue Mavis passo dopo passo, e sono pochissime le inquadrature nelle quali lei non c'è. Il film parla di lei, e del modo in cui gli altri si relazionano a lei. Interessante, sicuramente, è il personaggio di Matt Freehauf (Patton Oswalt, nda), ex compagno di liceo di Mavis che, all'epoca, fu violentemente pestato da alcuni ragazzi della scuola, riportando seri danni fisici. Durante il periodo della scuola Mavis non aveva mai nemmeno per sbaglio rivolto la parola a Matt; adesso, però, diventa il suo confessore. Il suo migliore amico. Il suo appiglio per non affondare.
Il film non mi ha pienamente convinto, principalmente per tre motivi; il primo, è la presenza di alcune scene assolutamente inutili, messe lì non si sa per quale motivo. Il secondo, è il ritmo troppo lento, diversamente dei film precedenti Reitman, che hanno invece come punto di forza proprio la scioltezza di racconto. Infine, l'elemento peggiore del film: Patrick Wilson, l'attore che interpreta Buddy. Ha una sola espressione per tutto il film, indipendentemente dalla emozione che sta provando. Ha fornito una pessima prova di recitazione, distruggendo un personaggio già debole di suo. Forse, con un attore capace il risultato sarebbe stato diverso. Voglio dire, non si può avere nella stessa scena una interprete eccellente come Charlize Theron, capace di rendere perfettamente il distacco di Mavis dalla realtà, e un cane come Wilson. Questa proprio non riesco a capirla.
Dopo capolavori come Thank You For Smoking, Juno e Tra le Nuvole, da Jason Reitman mi aspettavo decisamente di più. Ma forse sono io che chiedo troppo ad un regista che nel giro di pochi anni è riuscito ad entrare nella mia Top 5.
Ho visto questo film incuriosito dal trailer e devo ammettere che è stata una vera sorpresa. E' molto bello, divertente, moderno nonostante l'ambientazione.
Il film racconta l'invenzione del Vibratore, inizialmente utilizzato per curare donne con diagnosi di Isteria, malattia che ha cessato di essere considerata tale solo negli anni trenta.
Ma vediamo la trama. Ambientato nel 1880 a Londra, in piena epoca vittoriana, narra le vicende di un giovane medico, Mortimer Granville, interpretato da un convincente Hugh Dancy, orfano affidato alla nobile famiglia St. John-Smythe, che lavora saltuariamente in diversi ospedali ma perde sempre il lavoro o viene rifiutato a causa dei suoi metodi giudicati reazionari rispetto alla medicina tradizionale.
Dopo giorni di ricerche inconcludenti, trova lavoro presso il dottor Dalrymple, titolare di un rinomato studio specializzato nella cura dell'isteria. La sua terapia consiste nel massaggio manuale della vagina delle pazienti che ha allevia i disturbi legati all'isteria, quali ansia, nervosismo, depressione, instabilità, sbalzi di umore; insomma tutto quello che significa essere donna.
Il dottor Dalrymple ha due figlie: Emily (Felicity Jones, nda), devota e obbediente al padre, e Charlotte, la splendida Maggie Gyllenhaal, socialista e femminista, che dirige un istituto per la riabilitazione dei poveri della città. Ovviamente il rapporto tra lei e suo padre non è dei migliori. In poco tempo Mortimer ottiene molto successo, sottoponendo però la mano destra ad una eccessiva attività che gli procura fortissimi crampi. Destinato ad ereditare lo studio e sposare la giovane Emily, Mortimer nasconde il suo problema. Nei giorni successivi, Mortimer impara a conoscere meglio Charlotte, rendendosi conto che non è assolutamente una sprovveduta isterica come pensa il padre, ma una ragazza intraprendente e appassionata. Il segreto dei dolori alla mano, però, non dura molto. Dopo aver "deluso" una cliente, il dottor Dalrymple lo licenzia.
Ritorna così a vivere in casa del suo tutore, Edmund, un eccellente e purtroppo poco sfruttato Rupert Everett, scienziato ed appassionato di tecnologia. E sarà proprio una sua invenzione a dargli l'idea geniale. Da uno spolverino elettrico, con una piccola modifica, si passa, infatti, al vibratore. Dopo aver testato, con enorme successo, l'oggetto sulla cameriera, ex prostituta, Molly, Mortimer propone l'utilizzo dello strumento al dottor Dalrymple che, dopo una efficace dimostrazione, decide di adottarlo per le sue cure.
Le cose iniziano ad andare meglio, gli affari vanno a gonfie vele e così Mortimer e Emily annunciano il loro fidanzamento, senza troppa convinzione, ad essere sinceri. Charlotte, che nel frattempo si è indebitata fino al collo per mantenere la casa dei poveri, si reca alla festa dove però viene raggiunta da una sua amica che è stata picchiata dagli strozzini. Per mandarla via, interviene la polizia. Per difenderla Charlotte colpisce un agente con un pugno in faccia e viene arrestata. Al processo, l'accusa chiede l'internamento in manicomio per isteria , ed un successivo intervento di isterectomia. Mortimer, chiamato a testimoniare contro di lei, interviene invece in sua difesa, sostenendo che dietro alla sua passionalità, dall'accusa considerata come uno dei sintomi dell'isteria, c'è una grande generosità in difesa dei più bisognosi, e che la diagnosi di isteria è assurda. Il giudice nega l'internamento ma condanna comunque Charlotte a una lieve pena per aver picchiato il poliziotto.
Nel frattempo, Edmund vende i diritti del brevetto del vibratore, che ora è disponibile nei negozi, e consegna a Mortimer la sua percentuale. All'uscita dal carcere, Mortimer chiede la mano di Charlotte e le dona il denaro per ampliare il suo istituto.
Un film veramente piacevole, divertente, scritto e diretto molto bene, che ha visto però
enormi difficoltà di produzione. Ci sono voluti, infatti, circa 7 anni per realizzarlo. Una curiosità sulla regista, Tanya Wexler: è laureata in psicologia dei generi sessuali.
Questa serie continua a convincermi, puntata dopo puntata. Il terzo episodio sembra ispirato al capolavoro letterario del premio Nobel Saramago "Cecità", nel quale si racconta la strana vicenda degli abitanti di una città spagnola che diventano improvvisamente e senza apparente motivo ciechi. In questa puntata intitolata, appunto, Los Ciegos, l'equipaggio della Magus si imbatte in una tribù di guerrieri capaci di accecare chiunque invada il loro territorio. L'episodio è molto bello e avvincente, e alcune verità iniziano a venire a galla. Ogni puntata è uno stimolo a vedere la successiva.
Forse il re Mida Spielberg ha finalmente prodotto una serie tv che non verrà cancellata dopo la prima stagione.
Ieri finalmente ho visto Paradiso Amaro (The Descendants), il film con George Clooney che ha fatto incetta di premi e nomination in giro per il mondo. E' un bel film, ma ha anche molti difetti. Prima di iniziare con la mia analisi, vediamo un po' la trama. Matt King (Clooney) è un uomo ricco, discendente di una facoltosa famiglia hawaiiana. Durante la trattativa per la vendita della più grande proprietà di famiglia, la sua vita viene scossa da una tragedia. La moglie Elisabeth, dopo un incidente nautico, entra in coma irreversibile. Così, Matt si ritrova a dover gestire la situazione e badare alle sue figlie, Alexandra e Scottie, alle quali non ha mai dedicato molto tempo. A rendere le cose più difficili sarà la scoperta del tradimento della moglie.
Il film segna il ritorno alla regia di Alexander Payne, a sei anni di distanza dall'ottimo Sideways - In viaggio con Jack, ed è basato sul romanzo di Kaui Hart Hemmings "Eredi di un mondo sbagliato". Come premesso, il film presenta diversi difetti che indicherò di seguito. Il primo è senza dubbio la durata, eccessiva se si tiene conto della successione di eventi raccontati. I tempi sono dilatati, e alcune scene sono troppo lunghe. Questo, ovviamente, comporta un rallentamento del ritmo della narrazione. Un altro difetto è l'inserimento, nella storia, di personaggi, a mio avviso, superflui e poco funzionali, come, ad esempio, il compagno di Alexandra, Sid, che non arricchisce in alcun modo il film. Infine, a deludermi non poco è stata la regia, eccessivamente statica e a tratti fredda, quasi distante da quello che si sta cercando di raccontare. Bisogna, ovviamente, precisare che Payne non è mai stato un regista particolarmente estroso e dinamico dal punto di vista stilistico. Nonostante tutto, però, il film mi è piaciuto perché è decisamente sincero, struggente, commovente e, per certi versi, anche coraggioso. Trattare temi come il coma, il testamento biologico e l'eutanasia non è mai facile, e Payne lo fa con apprezzabile leggerezza, senza calcare troppo la mano. Sicuramente fiore all'occhiello del film è l'interpretazione eccellente di George Clooney, uomo ridicolo alle prese con la propria vita.
Nei suoi primi piani si legge la sensazione di inadeguatezza provata dal suo personaggio, Matt, un uomo comune raccontato nel suo momento peggiore, perso tra il dolore della perdita e la rabbia del tradimento. I suoi sguardi persi nel vuoto, gli scatti con la testa, tipici della sua recitazione, il modo di gesticolare, il modo buffo di correre, la capacità di riempire la scena con i suoi silenzi, fanno di Matt una delle sue migliori interpretazioni, giustamente premiata in diversi festival e concorsi. Ma l'elemento principale del film è il modo di vivere il dolore, condizione comune a tutti gli esseri umani. Chiunque abbia nella propria vita vissuto un lutto sa perfettamente che nessuno lo affronta nella stessa maniera nella quale lo farebbe qualcun'altro. E questo è raccontato molto bene nel film, sottolineando le reazioni diverse dei tre personaggi principali, Matt, Alexandra e la piccola Scottie. Interessante anche la capacità di combinare due generi molto distanti tra loro, come il melò, la commedia amara e il road movie. Il viaggio, elemento costante nella produzione di Payne, riesce a conferire una accelerazione nel ritmo, altrimenti, come detto in precedenza, eccessivamente lento. Molto belle anche le musiche e la fotografia. Devo ammettere, inoltre, che l'interpretazione di Shailene Woodley, star tv del telefilm "Vita di ua teenager americana", mi ha veramente colpito. Non la conoscevo, non avendo mai seguito la serie, ma è stata una piacevole sopresa.
Nel complesso, comunque, Paradiso Amaro è un film che merita sicuramente una occasione.
Il secondo episodio di "The River" è un gioiellino. Con un ritmo incalzante, una trama avvincente ed una tensione talmente fitta da essere costretti a tagliarla con un machete, l'episodio "The Marbeley" è davvero bello.
La giovane Jahel ingoia un insetto e si ritrova a condividere la coscienza di Emmet Cole. Spinti dalle sue parole, l'equipaggio del Magus si addentra nella giungla, e si accampa nel Cimitero delle bambole; un luogo veramente inquietante dove appese agli alberi ci sono centinaia di bambole, lasciate in omaggio allo spirito di una bambina protagonista di quella che era considerata, fino a quel momento, solo una leggenda. Ma è tutto vero. E non sarà piacevole.
Consiglio vivamente a tutti di seguire questa serie. Non vi deluderà.
E' dai tempi di "The Blair Witch Project" che odio i Mokumentary. Credo che siano una offesa alla intelligenza dello spettatore. Ma dopo aver visto il pilot di The River mi sono dovuto ricredere. Grazie al suo mix tra horror e avventura, a metà strada da cinema e tv, il primo episodio della serie firmata ABC mi ha stupito positivamente.
Ideata dal regista di Paranormal Activity e prodotto da Steven Spielberg, la serie narra le vicende del noto esploratore Emmet Cole, famoso per i suoi programmi televisivi naturalistici, scomparso da alcuni mesi in Amazzonia. Il figlio Lincoln e la moglie Tess organizzano un squadra di ricerche, composta da Lena, finanziatrice della missione, il capitano Kurt Brynildson, Emilio, amico di Lincoln, e Clark, ex produttore di Cole che filmerà tutte le ricerche in stile documentaristico.
Esoterismo, mistero, suspense, e una ambientazione che rievoca l'isola di Lost, la serie ha tutte le carte in regola per funzionare.